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LA CONQUISTA DELLA JUGOSLAVIA A seguito del colpo di stato perpetrato contro il governo jugoslavo che aveva aderito, seguendo l'esempio della Bulgaria, al patto Roma-Berlino-Tokio, nell'Aprile del 1941 le truppe del Terzo Reich, con un'azione fulminante, in un paio di settimane conquistano la Jugoslavia. Diede una mano alle truppe tedesche la II Armata italiana che varcò i confini della Venezia Giulia... Una volta occupatala, i Tedeschi divisero la Jugoslavia a piacimento ....
La Testimonianzadell'Alpino Angelo Galizzi, Fuipiano. Divisione Pusteria, XI Reggimento Battaglione Trento, 145.a Compagnia Mitraglieri. (Facevano parte dello stesso battaglione i nostri compaesani: Sandro Cavagna, Domenico Galizzi, Giovanni Garofali, Domenico Scandolera, Enrico Sonzogni e Angelo Zani).
"Entrato in Jugoslavia nel Luglio del '41, il nostro battaglione è rimasto a Plejvlia sino all'anno successivo quando la divisione Cuneense ci ha dato il cambio. In confronto al fronte greco-albanese qui ci pareva d'essere in paradiso. Si montava di guardia e si facevano rastrellamenti sulle montagne o nelle povere contrade. I rapporti con i civili erano abbastanza tranquilli dettati in parte dalla paura. In genere incontravamo donne malvestite, ma uomini non se ne vedeva mai, se non vecchi. Avevo fatto amicizia con il curato di un monastero che voleva imparare la nostra lingua. Come temevamo, la notte del 1° dicembre ci fu l'attacco dei partigiani mentre io mi trovavo di guardia con la mitraglia. I partigiani slavi erano molti e attaccavano da tutti i lati per cui alcune nostre postazioni caddero nelle loro mani. Anche il fortino, sopra la caserma, subì la stessa sorte e tutti i nostri vennero fatti prigionieri. Tra essi c'era il mio caro amico Angelo Zani. Trascorsero la notte col fucile piantato in gola. La mattina seguente la mia squadra e un plotone di fucilieri, al comando del cap. Gaspani che, ferito, portava una pantofola al posto dello scarpone, risalimmo la china protetti dal fuoco dell'artiglieria poi, carponi, ci portammo vicino al fortino e partimmo all'attacco lanciando bombe e sparando all'impazzata. Avemmo la meglio e i partigiani scapparono lasciando i feriti più gravi e i prigionieri. Questi ci vennero incontro abbracciandoci. Avevano gli occhi fuori dalle orbite. I combattimenti, diminuiti di intensità, cessarono la sera. I morti erano accatastati come legna e i feriti riempivano l'ospedale. I caduti furono portati in un posto riparato dove poi venne costruito un cimitero. Da quel giorno la vita cambiò. I rapporti con i civili cessarono completamente, si usciva in gruppo. Inoltre bisognava stare sempre all'erta perché spesso eravamo attaccati di sorpresa. Gli slavi si avvicinavano carponi, a tiro di bomba a mano, e non ci lasciavano il tempo di chiedere: "Chi va là!". In primavera ricevemmo l'ordine di rastrellamento. Bruciammo molta casupole di montagna, tutte povere dimore che ardevano come paglia. E' impossibile dimenticare questa esperienza così drammatica, anche se si vorrebbe scacciare dalla mente quei ricordi. Abbiamo fatto il "nostro dovere". Anche se quella guerra, ed in particolare alcuni episodi, dopo molti anni, li rivediamo alla luce della ragione".
Precedenti testimonianze pubblicate: Alpino Giovanni Battista Gianoli -
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