Di
Giuseppe Giupponi |
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C’era
una volta nel nostro paese Vistallo
Zignoni, giovin cortese, siccome
un uomo aveva infilzato da S. Giovanni venne scacciato.
Andò
a Venezia a fare il soldato quindi
alla guerra venne mandato: a
Fornovo sul Taro la spada tese contro l’esercito del re francese.
Di
notte l’inimico campo attaccò e
in una tenda che ci trovò? Il
cameriere del sovrano re Carlo: “Non farmi fuori, ti prego, non farlo!”
E
dovette dargli a malincuore le
reliquie di Gesù, nostro Signore. Vistallo
gli lascia salva la vita ma se ne va con la preda rapita.
Grida
Carlo VIII, rimasto di stucco: “T’hanno
fregato o mammalucco!”. Intanto
nel campo dei Veneziani tutti all’eroe batton le mani.
Egli
mostra fiero e contento la
corona di spine, grande portento, che
fu portata con amore e passione fino a Venezia in processione.
Dal
Doge Barbarico ei fu invitato e
un gruzzol di ducati gli venne donato. Zignoni
così ritornò al paese dove il popolo in festa l’attese.
Era
l’anno 1495 del Signore ed
egli donò una spina al rettore della
chiesa, don Carlo Borselli, e tornò a vivere coi suoi fratelli.
Così
smise di fare il soldato Madonna
Agnese a poi sposato. Quando
morì gli portaron fiori nella sua casa in Roncaglia Fuori.
La
Sacra Spina ogni anno fioriva oh,
quanta gente a S. Giovanni veniva! Ognuno,
pio, in chiesa pregava e a sera contento a dimora tornava.
Ma
un certo Bernardo Arcaini rubò
il reliquiario per far quattrini: prima
che la chiesa potesse lasciar la Sacra reliquia dovette buttar.
Così
la leggenda, ma in verità Un’orribile
morte quest’uom subirà: da
un caval furente fu trascinato, morì per laccio, fu poi squartato.
Per
questo sacrilego delitto la
nostra comunità perse il diritto a
riaver la miracolosa fioritura, tutti esclamavano:”Ohimè che sventura!”
Gli
anni scorrevano, il paese ingrossava, la
devozione vieppiù aumentava la
gente correva a tutte l’ore A chieder grazie a nostro Signore.
Costruito
fu un nuovo altare, la
chiesa rifatta; e per suonare? Un
campanile che alto va su com’è piccola la gente guardandovi giù!
Sette
campane più la campanona accompagnan
la vita di ogni persona. Con
la voce squillante pare un monello, ti chiama in chiesa il campanello.
Per
due volte da miracol salvato il
cimelio di Cristo a noi è arrivato. Fu
quando, terribile, un fulmine saettò e davanti al tempietto esso sostò.
O
quando, cadendo, in due pezzi si spezzò. Mastro
Covelli che spavento provò! Usò
il buon Caffi un po’ di collante e la spina, oh, si giunse all’istante.
Nel
nuovo reliquiario venne riposta quello
che ora fa bella mostra, nel
tempietto barocco ad ogni ore a sinistra proprio dell’altare maggiore.
Ed
eccoci ai nostri dì quando
la Sacra Spina di nuovo fiorì. Forse
perché più buoni noi siamo? Non ci par vero, non ci crediamo.
Così
nel ’32 tutti contenti, sentimmo
le parole di don Brigenti: “Cari
fratelli, il Signore ha perdonato e una goccia di sangue ci ha donato.
Lo
spino ha emesso un rosso fiore ringraziamo
Dio con tutto il cuore”. E
tutti si fece una gran festa preti e popolo col vescovo in testa.
Quando
la spina rifiorirà? Forse
nel 2005 quel giorno sarà. Noi,
intanto che aspettiamo, il bronzo dell’eroe in piazza ammiriamo.
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L'autore, Giuseppe Giupponi, incontra il Card. Martini, il Vescovo di Bergamo Amadei e di Crema Paravisi in occasione del 500° anniversario della S.Spina.
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