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SEBASTIANO MULETTI Avremmo desiderato aprire con qualcosa di piacevole, che ci lusingasse d'essere sangiovannesi, e invece il primo "aedo" in cui ci siamo imbattuti è questo cotal Sebastiano Muletti, di professione gastaldo (amministratore) dei Corrieri veneti, vissuto nel Settecento. Disse del nostro paese che:
<< … è da monti alpestri chiuso,che sembra messo dentro una cesta; le strade andando or suso e in giuso puossi a grand'agio spezzarsi la testa. Di carozze o letiche non c'è l'usocome ne' luoghi, e una terraccia è questa, dov'uom non passa per voglia, o accidente, con che mi fa viver lietamente.
Qui vi son certi casolari fatti come sarebbon stufaccie, o spedali; le stanze paion stanze di bigatti, ovver canili, o stalle d'animali. Se ogni cosa narrassi, a tutti patti direste non le son cose reali. Questo vi basti, che paion prigioni con tristo odor, del color de' cartoni".
Sentirsi dire, oltre il resto, che i nostri avi vivevamo come i caàlér (bigatti, bachi da seta), beh è proprio grossa. Ma noi, compaesani fratelli popol mio, inghiottiamo sorridendo, come noblesse obli ge.Tra i diritti sanciti - proprio ai tempi in cui vedevano la luce queste ottave, non precisamente ariostesche - v'è quello d'opinione e di stampa. Il Belotti (1), bontà sua, definì il Muletti "satirico-faceto" (ma le virgolette sono sue). Noi anche per il rispetto dovuto al quadrupede inseparabile compagno dei nostri alpini evitiamo di tirar in ballo il nomen-omen (il destino d'una persona è nel suo nome). Diamo invece al detrattore ciò che gli spetta: Giudregio Ferreate. E semplicemente lo pseudonimo con cui egli era noto (si fa per dire) in Arcadia (cioè nei circoli letterari del secol suo), ma suona come un insulto.E da uno che si fece chiamare a questo modo che cosa pretendiamo?
VITTORIO VAGHI Uomo della "Bassa", il dottor Vittorio Vaghi, cremonese di Casalmaggiore, è da considerarsi a buon diritto "naturalizzato" valbrembanino". Stabilitosi infatti, agli inizi del Novecento, a Piazza Brembana, vi esercitò a lungo la professione medica. Si trasferì poi a Zogno. Amò sinceramente i nostri monti e li cantò in versi di buona fattura. Il sonetto - di sapore carducciano - dedicato al Venturosa, il rupestre massiccio che con il Cancervo chiude a settentrione la verde conca sangiovannese, viene a taglio per la nostra rubrica. Fa parte della pubblicazione "Voce del Brembo" (1914)."Getta l'eccelse cime il Venturosa nell' orizzonte, il rude fianco enorme, alla brezza autunnal, silenziosa mole che pensa, o che sognando dorme.
L'ultimo raggio il sol morente posa lieve su l'aspre roccie, e fremer l'orme sembran del bacio suo, come di rosa petali sparsi in larga pioggia a torme.
Rispecchia nel silenzio il terso mare dell'azzurrino ciel di Val Brembana le vette che s'adergon come altare,
le auguste vette d'ogni verde spoglie cui non turba giammai l'eco mondana di nostre bieche lotte e tristi doglie."
Bei tempi. Oggi sulle "auguste vette", fra il passo del Grealès e il Basamorti, ci arrivano motociclette e radioline non meno bieche e tristi delle lotte e delle doglie d'antan. In compenso non vi si odono quasi più ciòche delle mandrie al pascolo. E qui mi taccio, con vergognosa fronte per l'intrattenuto rimpianto, che rischia di attirarmi le saette dei fautori del "progresso".PIETRO RUGGERI DA STABELLO — ricorda Antonio Tiraboschi (1838-1883), il compilatore del dizionario bergamasco-italiano — non poteva forse acconciarsi alle cifre ed alle esatte linee d'un libro mastro". Si svolse la sua attività artistica dagli anni Venti agli anni Quaranta del secolo scorso. La sua Musa è "...öna povra Simuna montagnéra, in pedàgn cört, e mànega d'camìsa", che, come osserva Sereno Locatelli Milesi, "indugia per le strade fuori mano, si sofferma nei crocicchi ad ascoltare le ciarle delle donnette, entra nelle osterie, dove il popolino si raccoglie intorno alle lunghe tavole, centellinando la pinta di vino rubizzo, siede sulle panche nei cortili, sotto la pergola..". Il Ruggeri, che s'era ridotto ad esercitare un piccolo commercio di quadri e libri vivendo trasandatamente gli ultimi suoi anni, ritornò spesso nella natìa Valle Brernbana: a Piazza, a Lenna, a Zogno, a San Giovanni Bianco ed in particolare a Fuipiano, ospite dei Cavagnis. Presso questa signorile famiglia trovò riparo, nel 1848, quando - rientrati gli Austriaci a Bergamo - egli ne temeva la rappresaglia per certi suoi versi contro la loro dominazione. Forse durante quel soggiorno compose queste sestine alla ridente frazione sangiovannese (che allora faceva Comune a sé). " Siede Fuipiano sovra colle ameno ricco di noci, di castani e pomi, di campi e prati, di buon grano e fieno ch'è come spezieria di mille aromi; fecondo è pur di vacche e capre e agnelli che danno buon butirro e formagelli.
La chiesa parrocchiale ben esposta con campanile ed organo suonabili, le case a mucchi in questa e quella costa, o ben costruite o no, tutte abitabili, di cui reina sovra lor s'estolle quella che a Prato-Sotto sta sul colle.
D'acque perenni ha pur vaghe sorgenti l'origine di cui si cerca invano; vasche pei lavandai e per gli armenti, canneti per zampogne al Dio silvano: eccovi di Fuipian così in sommario l'esatta descrizion e l'inventario".
Fuipiano, tutto sommato, nel secolo e mezzo trascorso da allora, non è mutato di molto: qualche edificio in più e, purtroppo, tanti campi in meno, per tacere di "butirro e formagelli" scomparsi. In compenso la "casa-reina" (bianca a strisce rosse secondo lo stile rimasto in voga dalle nostre parti sino ai primi decenni dell'Ottocento) rimane a far bella mostra di sé dal poggio aereo di Prato Sotto. Ai piedi del quale, a Cabagino - ma sarebbe più corretto scrivere Cà Bagini (Cà Bagì, in dialetto) -proprio dietro il palazzetto Cavagnis, un minuscolo canneto continua ad offrire al giocondo e malizioso dio Pan il materiale per le sue pive. Con la nostra rubrica abbiamo, stavolta, ecceduto un poco dall'ordinaria misura. Ma il lettore forse converrà che un filo di riguardo in più era ben dovuto all'autore delle "Rime Bortoliniane", il Ruggeri da Stabello per l'appunto. Del quale la nostra rassegna avrà probabilmente ancora modo d'occuparsi. (1) Bortolo Belotti. ( "Poeti e Poemi del Brembo" - Bergamo 1931.)
CARLO CECCHIARI
Correvano ruggenti
gli anni Venti, ma a San Giovanni, dopo la cruda parentesi della Grande
Guerra, la vita era tornata a scorrere con ritmi d’agreste Belle Époque.
Ad onta dell’industrializzazione (cartiera Cima), della ferrovia e delle
centrali idroelettriche - per tacere delle «ltala» e delle «Isotta-Fraschini»
che, rare, avevano cominciato a fare polvere sullo
stradù
- il nostro paese (o
cittadina, come taluno ama dire) rimaneva molto più sul «grosso e
signorile villaggio e fra i migliori che si trovano in Valle Brembana»,
descritto dal Maironi Da Ponte («Dizionario odeporico»
-1820),
che non su ...beh, che non su ciò ch’è diventato al giorno d’oggi.
Naturale, perciò,
che a Carlo Cerchiari, verseggiatore di scuola carducciana (del Carducci
elegiaco di «Idillio maremmano» e «Davanti a San Guido»), esso ispirasse
versi come questi:
«Ma appena il
sole col suo
raggio blando
torna il vasto orizzonte a rifiorir,
anch’ei si
placa e se ne va cantando,
con la voce che
muore in un sospir.
Gli fan corona,
su pei verdi clivi,
i fratelli minori in faccia al sol...
limpidi e puri,
scintillanti e vivi
i ruscelletti sgorgano
dal suol.
Sulla piazza,
che guarda il tempio grave,
il crociato
guerrier superbo sta...
Spira d’intorno
un alito soave
e lento il
Brembo sussurrando va»
Il cav. Carlo
Cerchiari, nato a Gorlago nel 1879, s’era stabilito a San Giovanni Bianco
nel 1922. Sposato alla signora Anna Elio, pare avesse fondato una sorta di
cenacolo poetico. Faceva il capostazione.
Bernardino Luiselli , dal Bollettino Parrocchiale, 1992.
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