Carlo Ceresa - (San Giovanni Bianco 1609 - Bergamo 1679) |
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Nato
ad apertura del secolo è tra i grandi protagonisti del Seicento
bergamasco, uno dei pittori che più contribuì a distinguere la
produzione locale da quella veneta o milanese. Le
prime opere che ci sono giunte, ad esempio l'Addolorata
di Fuipiano al Brembo, datata 1629, testimoniano una cultura
pittorica decisamente ritardataria e provinciale, che viene aggiornata
con patetismi artificiosi di origine nordica, e comunque risulta spesso
appoggiata a incisioni del tardo Cinquecento. Negli stessi anni però i
suoi ritratti, sia isolati sia inseriti nelle composizioni sacre (si
veda la Madonna in Gloria conservata nella Parrocchiale di San Giovanni
Bianco) lo rivelano come l'erede più genuino della tradizione che da
Lotto a Moroni proteggeva una pittura semplice, chiara, oggettiva,
fondata sull'osservazione della realtà. La
svolta della sua formazione pare datarsi (Tassi) intorno al 1630, in
coincidenza con la terribile peste che spopolò la Lombardia. Per il
biografo settecentesco fu a Milano, accanto a Daniele Crespi, tanto che
alcuni critici hanno distinto la mano di Ceresa in parti secondarie di
grandi cantieri pittorici diretti da Daniele, come la Certosa di
Garegnano a Milano e la Certosa a Pavia. La critica più recente,
invece, tende a ipotizzare un viaggio a Venezia, oppure, più
semplicemente, l'aperto e sensibile studio di molti pittori, anche
forestieri, che lavoravano in quegli anni a Bergamo. Le
conseguenze di queste acquisizioni sulla maturazione del suo linguaggio
si colgono nelle numerose opere eseguite negli anni Quaranta, nel
fervore di commissioni seguite alla tragica epidemia del 1630. Una
delle prime realizzazioni in pieno convincenti è la Crocifissione di Mapello
(1641), dove incontriamo un tratto del suo personale, suggestivo uso del
colore: il contrasto tra il pallore trasparente e luminoso degli
incarnati e le tinte profonde ed unite dei panni. Il Cristo idealizzato
- di chiara derivazione bolognese - convive con la descrizione attenta
dei due Disciplini, ma i due piani - reale ed ideale - sono congiunti
dalla sincerità devozionale che è un denominatore comune della
produzione sacra del pittore. A questo proposito non si deve dimenticare
che anche Ceresa fu Disciplino e che la devozione popolana rappresentata
nei suoi dipinti fu anche vissuta in prima persona. E
fu forse questa adesione convinta alla religiosità dei semplici, anche
dal punto di vista formale, che lo rese poco accetto alla gerarchia
ecclesiale, soprattutto cittadina. Gerarchia che
<<
rigidamente "osservante" in ambito contenutistico, era anche
fortemente sprovincializzata nelle scelte culturali >>
(Rossi,1987): tanto è vero che commissionò a Ceresa pochissimi
dipinti. La
sua opera si trova per la stragrande maggioranza dispersa in centri
piccoli o minimi delle Valli, quasi monotona per il ripetersi di
invenzioni ( il fortunatissimo Sant'Antonio con il Bambino ), figure o singole fisionomie,
iterazione che invece era evidentemente gradita o addirittura richiesta
dai suoi committenti. L'attenzione
al reale, che non è tanto una sua trascrizione diretta e minuta quanto
capacità di coglierne l'essenza, è il filo rosso che lega le sue pale
d'altare e l'attività di ritrattista, assai richiesta, nella quale
raggiunse risultati di tale modernità da farlo paragonare a Velazques.
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