Oneta, terra d’Arlecchino Appena sopra l’abitato di San Giovanni Bianco, la vecchia mulattiera conduce ad Oneta, dove la tradizione individua la casa natale di Arlecchino. Un pugno di case antiche, alcune delle quali restaurate nel rispetto della struttura originaria, contribuiscono a dare alla contrada un’atmosfera d’altri tempi che si respira pienamente percorrendo le anguste vie porticate, sui cui si affacciano rustici portali in pietra, ballatoi in legno intagliato, strette finestre protette da inferriate. Interessante anche la chiesetta del Carmine, che custodisce alcune tele del Ceresa e vari affreschi: una deliziosa Madonna con Bambino collocata in sagrestia e altri soggetti effigiati sulle pareti dell’austero porticato, tra cui un San Giovanni Battista e un grande San Cristoforo, posto a protezione dei viandanti lungo la via Mercatorum.
La casa d’Arlecchino
La contrada è famosa per l’edificio signorile, di epoca quattrocentesca, noto come casa d’Arlecchino. Il palazzo apparteneva in origine alla potente famiglia locale dei Grataroli i cui componenti vantavano ricchezze e fortune acquisite a Venezia e avevano poi voluto nobilitare l’edificio di Oneta quasi ad ostentare in patria, con questo segno tangibile, il livello della potenza raggiunta. La tradizione che identifica Oneta come patria, prima degli zanni e poi di Arlecchino, può ben essere inserita nelle vicende della nobile famiglia Grataroli. Va considerato, infatti, che gli zanni (dei quali rimangono qui ancora le tracce nel cognome di diverse famiglie), vestivano sulle scene veneziane i panni del servo balordo e opportunista, ruolo comunemente attribuito ai valligiani brembani che affollavano la città lagunare svolgendo i lavori più faticosi. Gli stessi Grataroli dovevano avere al loro seguito alcuni di questi servitori brembani ed è verosimile che uno di costoro, particolarmente dotato di "vis comica", possa essersi dato a rappresentare il ruolo da lui stesso svolto nella realtà quotidiana, ma corredandolo di connotazioni volutamente comiche. In tal modo, affinando le proprie doti di attore secondo i canoni della commedia dell’arte allora in auge nelle fiere e sulle piazze, lo zanni bergamasco offriva agli spettatori veneziani l’occasione di farsi beffe del povero servitore montanaro, evitando di prendere di mira le proprie debolezze e salvando così il nobile orgoglio di popolo dominatore. Il continuo arricchimento di forme e contenuti delle ripetute recite a soggetto favorì il formarsi e l’imporsi di un nuovo personaggio, l’Arlecchino, destinato poi a trionfare sulle scene di tutta Europa. Ipotesi questa, avvalorata dal fatto che nel Cinquecento, proprio un bergamasco, probabilmente originario di Oneta, Alberto Naselli, detto Ganassa, dopo i brillanti esordi presso le corti dei Gonzaga e degli Estensi, vestì i panni di Arlecchino davanti ai re di Francia e Spagna.
La casa d’Arlecchino spicca per le sue linee signorili caratterizzate dai bei portali a tutto sesto e le finestre gotiche in pietra che si aprono sulla facciata principale. L’ingresso, a cui si accede dalla caratteristica piazzetta antistante salendo una robusta scala in pietra, è corredato di un affresco raffigurante un personaggio irsuto e vestito di pelli, brandente un nodoso randello a guardia dell’abitazione. Lo conferma il cartiglio che recita:
Chi non è de cortesia non intragi in chasa mia se ge venes un poltron ge darò col mio baston.
Questa figura può essere accostata alla tradizione dell’homo selvadego, tipica delle comunità retico-alpine, di cui si sono conservati esempi nella ‘camera picta’ di Sacco in Valtellina e in diverse località del Trentino. Tale inquietante presenza è stata interpretata come l’originale matrice della maschera di Arlecchino, infatti nell’immaginario popolare il brutale uomo selvatico è espressione insuperabile di vitalità, indice di una natura temprata dagli espedienti e dai rigori della miseria. Non v’è dubbio che la primitiva gestualità di Arlecchino, ricalcata sulla rozza matrice dello zanni e affinatasi solo più tardi, fu in origine caratterizzata da una goffa e istintiva animalità, assai vicina alle fattezze rustiche dell’homo selvadego.
Gli ampi saloni interni conservano le tracce dei pregevoli affreschi che ne adornavano le pareti. Gli affreschi, egregiamente restaurati, sono attualmente esposti a palazzo Boselli (si tratta di una grande e realistica scena di Duello cavalleresco e di due figure di Armigeri) e nella sagrestia della parrocchiale di San Giovanni Bianco (un Cristo sul sepolcro, un San Sebastiano e un Sant’Antonio abate). Un altro affresco, il Martirio di San Simonino, è collocato nel Museo Diocesano di Bergamo.
La casa d’Arlecchino è di proprietà del Comune di San Giovanni Bianco che l’ha destinata a Museo della maschera e della commedia dell’arte.
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